fbpx

La crisi della moda fast fashion

La crisi della moda fast fashion

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una crisi della moda fast fashion sempre più profonda. Crisi che, con la pandemia dovuta al Covid-19, si è acutizzata ulteriormente.
Per uscirne i grandi brand hanno cercato di rivedere il loro business model e le loro strategie di marketing.
La casistica è ampia e, sebbene tutti i colossi del fast fashion si siano in parte riadattati alle nuove richieste del mercato, i risultati non sono stati ottimali per tutti. Chi è riuscito nell’intento e chi invece ne esce indebolito?
Proveremo ad analizzare le strategie messe in atto da alcune aziende e le metteremo a confronto per individuare le soluzioni migliori e le tendenze future.

FAST FASHION: STORIA DI UNA TENDENZA (QUASI) INARRESTABILE

Le origini del fast fashion, o “moda veloce” se vogliamo tradurre in italiano, vanno rintracciate secondo alcuni, già nel periodo della rivoluzione industriale.
È in quel momento infatti che l’industria tessile, grazie all’impulso dato dalla meccanizzazione e dall’automazione, cominciò a produrre capi in serie.
Gli abiti potevano essere rivenduti ad un prezzo medio-basso ed erano accessibili alle classi sociali meno elevate, che fino a quel momento erano escluse dal sistema della moda.

Senza risalire così indietro nel tempo però, il “debutto” dei primi brand fast fashion moderni va collocato intorno agli anni ’70. È in quel periodo che nascono marchi come Zara, H&M, GAP, Topshop, Primark o le italianissime OVS e Benetton. Da piccole realtà imprenditoriali specializzate, nel corso degli anni queste aziende sono diventate sempre più popolari e di successo.

Hanno affinato le loro strategie di produzione, di gestione delle risorse, di distribuzione e di vendita.

Soprattutto, hanno ribaltato il sistema stesso della moda mettendo al centro del loro business model il cliente e non più il prodotto. Dalla fine degli anni 90 ad oggi, i colossi del fast fashion hanno letteralmente conquistato il mercato, arrivando a competere per diffusione e fatturato con realtà come LVMH (Moët Hennessy Louis Vuitton).
Questi brand hanno saputo intercettare alcune tendenze e hanno raccolto le aspettative dei clienti traducendole in un approccio completamente nuovo.

I colossi del fast fashion infatti hanno:
  • Reso la moda democratica. Anche chi non ha la possibilità di acquistare i capi visti sulle passerelle delle fashion week, può comunque trovare abiti all’ultimo grido ispirati alle grandi griffe.
  • Modificato il concetto di “collezione”. Allontanandosi sempre di più dal modello primavera/estate e autunno/inverno, le catene di fast fashion puntano su un ricambio continuo dell’offerta. Quasi ogni settimana l’assortimento dei negozi cambia, con un turnover di capi impressionante. Si è stimato che, comprese limited edition, capsule collection, collezioni speciali o festive, un brand di fast fashion produca in media circa 52 micro collezioni all’anno.
  • Capito e sfruttato le nuove tendenze d’acquisto. Un tempo i consumatori cercavano capi che potessero durare, di ottima qualità e che fossero intramontabili. Mentre la durata e la qualità rimangono per alcuni dei punti fermi, la moda impone cambiamenti così veloci che un capo diventa obsoleto in un attimo. I clienti moderni, che cercano di seguire le tendenze, di essere up to date, vogliono avere accesso a collezioni sempre nuove. Il compratore del fast fashion ha un comportamento più “compulsivo” di quello che cerca il capo di pregio o la qualità della lavorazione. Le catene come Zara, H&M, etc, hanno capito perfettamente cosa vogliono i loro consumatori e fanno di tutto per accontentarli.

 

fast fashion aumento acquisto

 

CHI SONO I CLIENTI DEL FAST FASHION?

Come abbiamo detto finora la mission dei brand del fast fashion è quella di offrire ai propri consumatori le ultime tendenze del momento ad un buon prezzo.
Non a caso, aziende come H&M e Zara sono caratterizzate da claim come “moda e qualità al miglior prezzo” o “right to wear”.
Leggendo queste parole verrebbe da pensare che il target dei colossi del fast fashion sia rappresentato da persone che non hanno un ampio potere d’acquisto.
In realtà la situazione è molto differente. Questi grandi brand si rivolgono potenzialmente a chiunque sia interessato al contenuto moda in tutte le sue declinazioni.

Secondo uno schema di classificazione molto usato nel campo del marketing, i consumatori vengono identificati in base alla loro disponibilità economica e alla necessità di appartenere ad una determinata categoria sociale.

Possiamo così individuare:
  • I patrician. Persone facoltose e completamente inserite nel mondo del lusso, che tendono a scegliere marchi di pregio solo seguendo il proprio gusto personale. È interessante notare come tendano a privilegiare brand di alta gamma contraddistinti da una certa eleganza e pacatezza. Parliamo dei cosiddetti brand quiet. Il patrician non ha bisogno di mostrare il proprio status perché fa parte di una “comunità” i cui membri si riconoscono già tra loro.
  • I parvenu. Sono persone che, ad un certo punto, si trovano ad avere una maggiore disponibilità economica. Questo salto di status li porta a rimarcare la loro ascesa attraverso l’uso di brand loud, prodotti in cui il marchio è molto evidente (ad esempio un accessorio totalmente serigrafato con il logo). I parvenu vogliono dissociarsi dalla massa ed avvicinarsi ai patrician.
  • I proletarian. Questo tipo di target non ha la disponibilità economica per acquistare prodotti di lusso ma non ne è neppure attratto. I loro bisogni sono differenti e non comprendono la necessità di mostrare il proprio status attraverso la loro immagine. Ciò non toglie che possano essere interessati ad argomenti come la moda, il lifestyle e le ultime tendenze.
  • I poseur. Come nel caso precedente, questo target non può avere accesso diretto a prodotti di lusso perché frenato dalla barriera economica. Al contrario dei proletarian però, la necessità di possedere e mostrare un certo status sociale è molto forte. Per questo motivo i poseur fanno di tutto per accedere al mondo dei luxury goods, compreso il comprare imitazioni dei prodotti di marca.

Data questa classificazione saremmo portati a credere che un patrician, un parvenu o un poseur non potrebbero mai servirsi del fast fashion. In realtà i brand come Zara, H&M etc hanno ampiamente superato queste categorie focalizzando la loro attenzione sul contenuto: la moda.

Chi si rivolge a loro cerca le ultime tendenze, la novità e la varietà.

Per questo motivo non è più interessato al logo, alla marca e neppure alla qualità dei materiali o delle rifiniture.
I target privilegiati del fast fashion sono i cosiddetti “fashion follower” e i “fashion innovator”. Sono persone focalizzate sullo stile, sul lato emozionale della moda, sull’apparire unici non per cosa si indossa ma per come lo si fa.
Una commistione di haute couture e street fashion che diventa un mix and match accattivante e assolutamente trasversale.

GLI ANNI DELL’AFFERMAZIONE DEL FAST FASHION

Gli anni 90 e 2000 sono stati il momento d’oro per i colossi del fast fashion con una vera e propria diffusione globale e capillare.
Hanno saputo sfruttare al massimo le nuove tendenze della moda, piegarle alle loro necessità e raccogliere un bacino d’utenza enorme.
Tutte le grandi catene hanno via via modificato il loro approccio al consumatore, le loro strategie di comunicazione e i loro canali di vendita.
Hanno puntato moltissimo sullo sviluppo dell’ ecommerce e sul marketing online per poter raggiungere i loro clienti sempre e dovunque. Inoltre, attraverso tecnologie come la realtà aumentata e l’uso di strumenti di tracciamento e raccolta dati specifici, hanno cercato di perfezionare la customer experience sia offline che online.

L’intento insomma, è stato quello di creare valore assieme al cliente e non solo per il cliente.

Brand come H&M hanno anche provato a scrollarsi di dosso l’immagine di brand cheap. Nel 2013 infatti, H&M ha sfilato alla Parigi fashion week con una propria collezione, un’operazione mai fatta prima da nessun brand di fast fashion.
Inoltre, nel corso degli anni, ha collaborato con grandi designer e stilisti per creare delle capsule collection che sono andate sold out in pochissime ore.
Basti pensare alle collezioni disegnate da Karl Lagerfield, Elio Fiorucci, Stella Mc Cartney o Giambattista Valli, solo per citarne alcune. Associarsi ai grandi nomi della moda internazionale e fare una pubblicità martellante su tutti i canali possibili ha sicuramente creato molto hype e aumentato le vendite sul breve periodo.
Si può dire un’operazione riuscita? Sicuramente sì, sotto il profilo delle vendite, ma meno se parliamo di percezione del brand.

LA CRISI DEL FAST FASHION

Tutte le strategie messe in campo in questi ultimi anni, non hanno però messo al riparo le catene del fast fashion da una serie di minacce. Con un mercato in continuo mutamento e altamente competitivo questi grandi colossi hanno dovuto affrontare vari problemi come:

  • Nuovi competitors. Si sono affacciati sul mercato dei concorrenti agguerriti e molto organizzati. Si tratta principalmente di grandi piattaforme di retail online come Ali Express, Shein, Zaful, Zalando, Asos, Yoox. Questi colossi del web contano un numero praticamente infinito di prodotti moda, prezzi competitivi e un ricambio costante dei prodotti disponibili. In sostanza fanno quello che fa una grande catena di fast fashion colmando il bisogno di moda accessibile del consumatore. La differenza però è che una piattaforma online non ha costi di infrastruttura, non produce, non ha milioni di negozi sparsi in tutto il mondo e ti permette di ricevere il prodotto comodamente a casa tua.
E anche le esigenze dei consumatori sono cambiate con richieste di:
  • Maggiore attenzione alla sostenibilità. I consumatori più giovani (millennials e gen Z), che rappresentano il target principale delle catene di fast fashion, sono sempre più consapevoli. I clienti sono cambiati e sono molto più attenti di 10 anni fa a temi come la sostenibilità del brand e all’impatto ambientale. I ritmi della fast fashion, le produzioni incalzanti, le spedizioni continue, lo sfruttamento intensivo delle coltivazioni e l’inquinamento prodotto dalle tonnellate di materiali non riciclabili sono in antitesi alle nuove richieste green e consapevoli della clientela.
  • Responsabilità sociale. L’ esternalizzazione di molti processi produttivi, i dubbi sulle condizioni dei lavoratori degli stabilimenti di produzione nonché sul trattamento equo dei dipendenti hanno gettato molte ombre sui brand della fast fashion. Non sono mancate proteste da parte dei lavoratori, accolte con molta preoccupazione anche dai consumatori.
“Anche i migliori sbagliano” e questo è valido anche per questi grandi brand.
  • Campagne di comunicazione controverse. Anche le grandi aziende possono sbagliare completamente una campagna pubblicitaria e danneggiare pesantemente la propria brand reputation. Basti citare il famosissimo caso di H&M e il “Monkey-gate” che risale al 2017. In quell’occasione l’azienda fu accusata di aver ideato una pubblicità razzista e subì un grandissimo danno d’immagine.

 

campagna pubblicitaria fast fashion

 

Durante il periodo della pandemia dovuta al covid-19 i colossi del fast fashion hanno dovuto affrontare dei momenti difficili. Sebbene le vendite online siano aumentate di circa il 40%, la chiusura degli store, punto focale dei brand, ha provocato moltissimi problemi. Perdite ingenti di guadagno, intere collezioni invendute e lavoro di designer e produttori inutilizzabile. Un danno che è ancora difficile quantificare ma che avrà dei seri strascichi per molti di questi brand.

BUSINESS MODEL E STRATEGIE DI MARKETING DI SUCCESSO: IL CASO ZARA

In questo scenario negativo, con i colossi del fast fashion che arrancano dietro ad avversari sempre più competitivi e che restano immobili nelle loro posizioni c’è un brand che si distingue per capacità di reazione.
Zara infatti ha scelto di evolversi, sfruttare a pieno le potenzialità dell’e-commerce e ideare servizi sempre più customizzati per attrarre e fidelizzare i suoi clienti.

Nel corso degli anni, ha costruito un business model solido ma estremamente flessibile che ruota attorno al cliente e alla soddisfazione dei suoi bisogni a 360°.

Ha saputo diversificare la sua offerta, costituendo una vera e propria “flotta” di brand guidati dall’ammiraglia Zara, per coprire vari settori di mercato e rivolgersi a segmenti di clientela differenti. Ha sfruttato tecnologie come l’AI, la realtà aumentata, i big data per ridurre al minimo i rischi ed ottimizzare produzione e distribuzione. Insomma, una vera e propria macchina da guerra che combina tecnologie all’avanguardia, creatività, fattore emozionale e razionalizzazione dei processi.

Il Business Model di Zara

Il core del business model di Zara è il cliente. Tutte le attività aziendali, dalla progettazione di un nuovo prodotto al servizio post vendita ruotano attorno al consumatore. In un settore competitivo come quello del retail, in cui conquistare i clienti è un’impresa difficile, Zara ha capito l’importanza di dare valore ai suoi utenti rendendoli non solo fulcro ma parte integrante del sistema.

È il consumatore che decide, che crea tendenze, che fa moda.

Il design dei prodotti Zara è affidato ad un vero e proprio esercito di designer professionisti che lavorano incessantemente per riconoscere ed interpretare le tendenze del mercato e le esigenze dei clienti. L’attività creativa è affiancata anche dal lavoro di figure chiamate cool hunters, responsabili di intercettare mode e stili innovativi nei contesti di vita quotidiana. Partendo dall’ispirazione delle sfilate d’alta moda unita all’osservazione dei comportamenti di acquisto e allo street style, i designer possono creare collezioni a ciclo continuo. È così che il brand soddisfa le aspettative dei suoi clienti che richiedono capi sempre nuovi e di tendenza.

L’approvvigionamento e la fabbricazione sono gestite direttamente da Zara che ha scelto di delocalizzare solo una parte delle sue attività mantenendone la maggior parte in luoghi vicini alle sue sedi centrali. In questo modo si crea un sistema estremamente flessibile e sinergico che permette una rapidissima risposta alle richieste del mercato.

La supply chain sviluppata da Zara permette di ottimizzare al meglio i processi di gestione aziendale. In questo modo il coordinamento tra fornitori, distribuzione e produzione è fluido ed efficiente. Visto che il fine ultimo dell’azienda è la soddisfazione del cliente, Zara ha scelto di investire nella logistica, nella comunicazione tra sede centrale e punti vendita e in una nutrita squadra di designer. Una struttura così integrata e capillare è molto impegnativa e costosa ma permette una flessibilità ed una rapidità che supera di gran lunga quella dei competitors.

STRATEGIA E FATTORI DI SUCCESSO DEL BRAND ZARA

Zara ha avuto un successo internazionale enorme e sembra reggere bene anche alle crisi che, nel corso degli anni, hanno colpito il settore del fast fashion. Le ragioni alla base di questo primato risiedono nel cuore della strategia aziendale. Zara punta ad un mercato giovane con una certa possibilità economica, desideroso di avere accesso ad un contenuto moda sempre nuovo con un ottimo rapporto qualità prezzo.

Quali sono quindi gli aspetti della strategia che permettono a Zara di differenziarsi e superare i competitors?

1- Lead time brevissimo. Grazie alla sua struttura totalmente integrata Zara controlla direttamente tutta la filiera creativa, produttiva e distributiva. Per questo motivo una collezione impiega circa 15 giorni dal momento in cui viene avviata la produzione a quando entra negli store. Due volte alla settimana nei punti vendita Zara arrivano nuovi prodotti, pronti a soddisfare le esigenze dei clienti.

2- Brand Architecture. Zara fa parte di una holding, Inditex, che comprende 8 marchi diversi ( Zara, Zara Home, Oysho, Stradivarius, Massimo Dutti, Pull & Bear, Bershka, Uterque) differenziati soprattutto per tipologia di clientela. Questa differenziazione permette di rafforzare l’immagine globale del brand, di ridurre la concorrenza e di evitare cannibalizzazioni interne.

 

brand architecture zara

 

2- Uniformità delle collezioni in tutti i punti vendita. Che ci troviamo a Madrid, a Shangai o a New York gli store Zara presentano sempre lo stesso assortimento con minime differenze. Una concezione della moda globale che supera tutti i confini.

3- Adesione totale alle nuove tendenze. Zara ha modificato radicalmente la concezione di collezione e ha anche individuato nuove forme di ispirazione. I designer di Zara prendono spunto dalle maggiori passerelle della moda che presentano le loro collezioni due volte l’anno. Tuttavia la vera guida per la creazione dei capi e degli accessori a marchio Zara sono i clienti stessi, con le loro preferenze e i loro acquisti. I big data, relativi alle vendite, diventano così fondamentali per prendere tutte le decisioni strategiche relative ai nuovi prodotti.

E come si interfaccia Zara con il cliente?

4- Logica della scarsità. Sebbene Zara sia un colosso globale con migliaia di negozi sparsi in più di 90 paesi, produce una quantità limitata di pezzi. Questo perché la strategia di Zara consiste nello spingere i clienti a comprare subito, per non rischiare di non trovare più il prodotto. Questa tattica permette all’azienda di evitare una sovra produzione di un determinato prodotto e di creare un desiderio nel consumatore.

5- Focus totale sul cliente. Negli anni Zara ha sviluppato moltissimi strumenti per dare valore ai suoi clienti e per rendere la loro esperienza d’acquisto la migliore possibile. E-commerce, resi online ed in store, camerini prova che utilizzano la realtà aumentata, consigli personalizzati sulla base degli acquisti precedenti. Una customizzazione completa che fa percepire ad ogni cliente la sua importanza.

6- Aumento della Life Time Value del cliente. Zara punta a fidelizzare la sua clientela e soprattutto a trarre il maggior profitto possibile da ogni consumatore. Visto che i prezzi dei prodotti sono medio bassi il brand fa leva sul continuo riassortimento spingendo i clienti a comprare più pezzi nel corso del tempo. In questo modo la spesa media effettuata aumenta in modo esponenziale.

Scelte di comunicazione di Zara

7- Assenza quasi totale di campagne pubblicitarie. A differenza di tante altre catene che spendono budget importanti per la pubblicità offline ed online (ad esempio H&M), Zara ha un approccio totalmente differente. Il time to market brevissimo rende impossibile un’advertising mirato; il tempo di realizzare una campagna e la collezione sarebbe già cambiata. Per questo motivo, Zara concentra tutto il suo effort sulla pubblicità indiretta ossia sul punto vendita. Sceglie location prestigiose all’interno della città, crea store dallo stile elegante e raffinato e fa delle sue vetrina il punto focale della sua comunicazione.

Zara deve il suo successo all’aver intuito prima dei competitors come reagire ai cambiamenti repentini e continui del mercato.
Grazie all’uso oculato del fattore tempo, alla flessibilità e alla scelta di sfruttare la prossimità di fornitori e produttori, Zara ha creato un modello di business unico ed innovativo. Il cuore di questo sistema è rappresentato dal cliente, che funge da guida in ogni aspetto dell’organizzazione aziendale.
In questo modo si crea un rapporto di co-produzione del valore che lega in modo fortissimo cliente e azienda.

Ti serve aiuto per iniziare?

[dt_sc_button title=”Prenota la tua call gratuita” size=”xlarge” style=”filled” textsize=”1.5em” class=”default” link=”url:https%3A%2F%2Fup2lab.it%2Fbooking|title:Prenota%20una%20chiamata”]
Related Posts
Leave a Reply

Your email address will not be published.Required fields are marked *

Chiama Ora